Scheda Libro
Giusto un tarlo sulla trave
Poesia Contemporanea
Giulio Maffii
Marco Saya Edizioni
Anno:
2016
Prezzo:
10,00
Ean:
9788898243327
Argomento:
Vario , Letteratura
Genere:
Vario
Pagine:
44
Supporto:
Brossura
Stato:
In Commercio
Sinossi
Non si deve mai sottovalutare la scelta di libero arbitrio che sta a monte della pubblicazione di un libro di poesia: non si dovrebbe
fare questo errore da nessun punto di vista perché, se pubblicare un libro significa aprire la porta di una casa, il lettore ‒ chi fa accesso – avrà  sì la possibilità  di cogliere molti indizi per capire chi o cosa la abita, ma dovrà  usare una grande attenzione nei movimenti, per non imporsi sull'altro; parimenti, l'autore – chi apre la porta ‒ avrà  il privilegio e l'onore dell'ospitalità , ma sa bene che darà  probabilmente di sé un'immagine impropria: scelta incauta,ma non scriteriata nel caso di questo libro del poeta Giulio Maffii.
“Per un attimo/disertano i miei sensi/la pupilla è catturata dal legno e dalle pietre [...] Cittadini di Angers, aprite le vostre porte/
fate entrare terra e parole”: questi versi, chiudendo l'opera precedente Il ballo delle riluttanti (Lamantica 2015), già  introducevano
le due figure importanti ‒ metonimicamente accomunate ‒ di questo nuovo, gravido libro di poesie: il legno e la porta. Il prolifico
poeta toscano ha voluto spalancare una porta, aprire per sé e per gli altri una sua stanza, esplorarla e compitarne gli oggetti fingendo
di essere solo, eppure sapendo di dar luogo a uno spettacolo:la scrittura-suppellettile che inganna la vita, la poesia-oggetto
che cauterizza gli squarci. Giusto un tarlo sulla trave: la manutenzione della casa-presente, la consapevolezza della sua reale esistenza,
del problema da lei significato, prende le mosse da una minaccia risibile: il tarlo che si intravede sulla trave, ovvero un minuscolo insetto che offende la struttura portante del tetto di un luogo abitato da persone che invecchiano e che a quel legno non sopravviveranno. E il poeta sa bene che in fondo non c'è niente da temere, nessuna torma da disinfestare: Carlo Betocchi, in un grande libro come Un passo, un altro passo, dedicato all'amore e alla vecchiaia (va da sé: i due temi del libro di Maffii), aveva colto l'ambivalenza dell'azione rodente dell'insetto xilofago: “Eh sì! s'invecchia/e ritorna più vera/la vita che già  fu, rosa da un tarlo…// un tarlo che la monda”. Maffii, scrivendo questo libro, ha compiuto un gesto archeologico, un tentativo di indicizzare la memoria, di metterla in relazione con il “tono della voce” e della lingua, seguendo una traccia nella zona deluminata del subconscio. Il poeta parla di io, tu, noi, di due amanti che sono forse due compagni di vita, o semplicemente due ombre proiettate su un muro, riflesse o fotografate su uno specchio; eppure non di rado i soggetti sono “sommati”, uniformati più che unificati (“Ci mescoliamo alla pietra al legno/eliminando ogni precauzione/dietro
la porta/‒ non so da quale parte ‒/ti divoro ci amalgamiamo”), si cercano nella terra desolata del letto, tra le rovine, la congerie/
congiura di oggetti. I molteplici ego qui evocati cercano un punto fermo nella tempesta di lenzuola, supplicano la memoria di
evidenziare l'“origine/della tristezza che lascia l'impronta [...] il segreto/di ciò che siamo/di ciò che non saremo”. In questo cortocircuito linguistico ‒ spiazzante la promiscuità  dei tempi verbali (“le notizie date con un sorriso a prova d'inciampo/il congiuntivo
ipotetico usato nel passato”) ‒, nell'uso ironicamente dosato della rima, vediamo il lavoro del tarlo che si trova a rodere la travestruttura di una poesia in continuo allarme: Maffii non teme questo metodo di scrittura determinato da una battaglia a mani nude
con le ubbie della coscienza, non lo spaventa entrare in questa turba mnestica che sovverte persino gli eterni ritorni, nel rischio
continuo della “distrazione degli oggetti”. Porte, finestre, tappeti, e poi ancora porte e finestre, sedie, servizi per due, limoni, foto,
quaderni, candelabri, tavoli, bricchi del caffè, letti, cuscini, un lungo inventario di cose per cui l'autore dichiara di provare un vero e proprio odio, poiché “è facile che il mio corpo si rompa”, come gli oggetti. Derrida sostiene che “ci sono quattro modi di esaurire
il possibile: formare serie esaustive di cose; estinguere il flusso delle voci; estenuare le possibilità  dello spazio; dissolvere la potenza dell'immagine”; ma il libro che avete tra le mani non è solo questo: l'autore non ha lasciato spazio, nella scrittura, a questa indolente sconfitta. Maffii non segue l'esempio di Georges Perec che, in La vita. Istruzioni per l'uso, descriveva minuziosamente “uno
stabile parigino cui sia stata tolta la facciata”, nel tentativo di esaurirne il dato reale e disinnescare la vita con la letteratura. Perec apriva la narrazione parlando delle scale, descrivendole come “luogo neutro [...] dove la gente s'incontra quasi senza vedersi”;
per Maffii le scale sono luogo, pur casuale, ma generativo: “ora che ogni dubbio è terminato [...] sopra le scale dove ci siamo incontrati/dove ti avrei amato anche per caso/molto prima di chiunque altro”. Dunque, sembra che Maffii abbia preferito dar
credito all'operosità  della domanda del poeta Adam Zagajewski che, in Dalla vita degli oggetti, tocca “la pelle levigata degli oggetti
[...] tesa come la tenda di un circo”, e così interroga le cose: “sapete cos'è la sofferenza? [...] Avete mai amato? Vi siete mai sentite
morire/quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra/nel cuore raggelato?”. “Chi si placa si perde”, chiosa apoditticamente
Maffii: le poesie di questo libro crepitano di luce incerta,sono il tenace “dubbio del ragno” che precede e prepara la ragnatela,
ovvero la domanda zagajewskiana: il poeta, certo, sa che con i versi non si sciolgono “i nodi alla gola”, né si può separare la
morte dall'amore o redimere le parole (che blandamente “cozza-no sui muri/oltrepassano gli oggetti/dopo averli accarezzati”).
Nondimeno, sulla soglia di una “porta senza stanza” ‒ a ghigliottina, il presente vuoto – il medesimo poeta riesce a scrivere:
“abbiamo compreso che l'amore esiste/e si nasconde come un indifeso/dentro le nostre rovine”. Sta a noi decidere se accettare
o meno la provocazione di Maffii, che ci accompagna alla porta e ci ricorda che “le case alla fine si assomigliano tutte”; in altre parole, invitandoci a tornare nella nostra, di casa: ognuno alle sue travi e ai suoi tarli. (Bernardo Pacini)

Giacenze
denominazioneindirizzocapcittacopie