Come mille altre parole del dizionario occidentale, “aedo†non è declinabile al femminile, perché persino i saggi greci avevano il vizio
di affidare i ruoli importanti al genere maschile. Questo, però,non sia un problema, avendo noi la possibilità di chiamare “rita†la
persona che, opportunamente ispirata, canta vissuti e viventi, dando voce alla voce che “ditta dentroâ€. Ciò che cambia tra l'aedo greco
e l'aeda sannita è la linea vettoriale della spinta, che non scende dall'alto dell'Olimpo ma sale dalle profondità junghiane che allagano
il pozzo addominale e che chiedono di venire alla luce sotto forma di parola scritta e/o cantata per abitare le terre dell'ascolto.
Peraltro, il fatto che si tratti di una voce donna e di terre jazzistiche non può che giovare.
Dizionario androcentrico a parte, ieri, come oggi, il meccanismo rimane lo stesso: si tratta di far coincidere canto e parola (il maschio
e la femmina del verbo poièin); immergersi a capofitto dentro le viscere; usare il diaframma come il mantice di un organo e disporsi
in atteggiamento ieratico per inspirare la vita e farne corposa vibrazione (tra inspirare e ispirarsi il passo è breve).
In questa chiave, l'obbedienza somiglia a uno dei voti che certi monaci sono tenuti a osservare come pilastro della propria vocazione;
obbedienza al demone dal quale Rita si lascia possedere per impastare parola e canto all'insegna della comune matrice poietica: il suono,
quel suono che non va mascolinamente “sfondato†come un “muroâ€, ma femminilmente accolto e restituito sotto forma di onda
che andiriviene o mezzo di trasporto eccezionale, essendo esso la materia prima della comunicazione umana. (Lino Angiuli)