Lo scritto in prosa che conclude questo volume di versi di Ginevra Lilli è in realtà quello composto per primo, nel 1993, quando
l'autrice era poco più che ventenne: testimonianza di un male di vivere che già da quel momento prendeva a radicarsi nel corpo e
nell'anima (“Un piano inclinato che bascula su di un perno ... Da allora faccio parte di tutta la tristezza che solo le onde sono capaci
di raccontare e ripetere ogni giorno ... Non so quanto tempo sia passato, non so neanche se nessuno si sia mai accorto di nienteâ€).
Questo senso di estraneità nei riguardi della propria e altrui vita, delle vicende pubbliche e private, addirittura dei propri confini
fisici, si perpetuerà in tutti i versi successivi, scritti tra il 2009 e il 2014, dopo un silenzio buio durato anni: quasi che Ginevra si sia aggrappata alla poesia nel tentativo di riconquistarsi, di recuperare una serenità che l'esistenza le aveva minacciosamente negata.
Eccoli, quindi, questi versi quasi spavaldamente e consapevolmente ignari o diffidenti di tradizioni, eredità e correnti letterarie, e invece decisi ad affermare un loro autobiografismo fatto di sofferenza e di rabbia, di richieste d'affetto e amicizia, di ricerca di un salvifico approdo. Lo stile varia dal discorsivo quotidiano, come nella poesia iniziale (“Quella alta,/ la vedi?/ àˆ saltata/ da un treno!//...Poraccia.// Quel sorriso/ è il suo./ Sempre quello./ Chissà .â€), al cantilenante della filastrocca popolare (“Niente premura,/ sono in Gallura,/ del continente/ non mi frega niente.â€), al pacato-meditativo-orientaleggiante (“Un dolce andare verso Oschiri,/ in un accenno d'estate,/ nel giallo pigro dell'erba,/ nella luce chiara di mezzogiorno./ Tutto tace, tutto è buono.â€), o all'asseverativo, tendenzialmente gnomico, anche quando esprima le più lapalissiane verità (“Tutto in questo mondo/ è sesso-potere-denaroâ€). Non è infatti il risultato estetico ciò che interessa a Ginevra, quanto lo scandaglio nel dolore, che deve essere reso nell'immediatezza dei versi: franti, sincopati,incapaci di distendersi nella musicalità , o di controllarsi criticamente nel rigore metrico. La vita è un viaggio (Roma,
Toscana, Sardegna ...); la natura - soprattutto nel suo elemento acquatico, quindi amniotico - qualcosa in cui annullarsi; la cultura
libresca una zavorra da cui liberarsi (“Passamelo quel libro chiaro,il divano è zoppo./ Ci mettiamo questo qua, che ne dici? Ungaretti!/ àˆ del giusto spessore./ Oplà .â€). L'immagine che l'autrice tende a dare di sé è talvolta impietosa, quasi amasse esibire il lato più negativo del suo inconscio (“Sono fatta di sangue scuro, penso, donna-bambina/ capace di voglie nere, di tanto nero/ odio.â€; “Stringo la penna,/ graffio la carta,/ il bianco lo mangio.// Poi sputo, taglio. Stritolo/ e lacero. Il vuoto/consumo, consumo lo strazio./ Io ti ammazzo.â€; “Si gonfia la pancia,/ fuggon le idee/ e mi ritrovo qui sola/ ubriaca di fiele.â€; “Che il mondo/ scompaia./ Poi,/ staremo tutti meglio.â€): quando invece la richiesta di amore, di pace, di amichevole e solidale comprensione risulta evidente a chi legge con l'imperiosità di un
S.O.S. disperato. Esplicite infatti sono le dichiarazioni d'affetto ai familiari, agli amici, al destino stesso e al futuro che l'attende (â€œàˆ di calma che mi vorrei nutrireâ€; “La preghiera/ è nata./ Ed è un verso:/ ti prego, stammi accantoâ€). La domanda di protezione, di
assoluzione e di leggerezza è disarmante, quasi infantile: “Non guardatemi/ con severità ,/ sono sempre io.â€, “Fammi beare di me
stessa, dimmelo,/ dimmelo che sono/ bella, brava e buona./Voglio i complimenti, i riconoscimenti, i premi e le premure per le/ prime donne./ Non per forza il successo, ma un biscottino per cani ...â€. Poesia come preghiera laica, come sentiero chiaro che conduca a una radura clemente nel bosco fitto, come conquista lieta di serenità . àˆ ciò che Ginevra Lilli augura a se stessa, e che la voce tenue ma fidata dei versi le può far raggiungere: “Un giorno,/mi incontrerò/ e sarà / l'incedere affaticato di un gigante di donna; i crucci/ attorcigliati, riccioli/ presi e infilati/ uno ad uno/ in una lunga collana rossa rossa./ Rosario di grande fortuna.†(Alida Airaghi)