Critici e scrittori, in questo libro collettivo, si interrogano sulla natura di Robert Walser, indagano i suoi ultimi anni di vita, i suoi microgrammi, la sua “singolare†follia, che è stata anche una forma di ritiro dal mondo. Allo scrittore di Bienne è ben presente l'abisso in cui sprofonda la ragione, come testimoniano le parole del suo Kleist nel racconto "Kleist a Thun": «Ha una sensibilità troppo acuta, troppo presente ha la sua incertezza, la sua cautela, la sua diffidenza, per essere infelice. Vorrebbe gridare, piangere, Dio mio, cosa mi sta succedendo, e si precipita giù dalla collina ormai inombra. La notte gli fa bene. Arrivato nelle sue stanze, si siede allo scrittoio, deciso a lavorare fino alla pazzia La luce della lampada gli sottrae la vista del paesaggio, rischiarandogli la mente, per cui ora scrive». Ma per Robert Walser è necessaria anche la grazia con cui traversare un mondo ostile e comunque accettarlo, come in questo racconto, "Lettera di un poeta": «Perché dovrei essere quel che non sono, e non essere quello che sono? Sarebbe stupido da parte mia. Se sono quel che sono, sono soddisfatto di me stesso; e tutto suona bene, tutto è buono intorno a me[…] Io apprezzo molto ciò che sono, per quanto meschino e povero esso sia. Io considero ogni invidia una stupidità . L'invidia è una specie di pazzia, Ognuno rispetti la condizione in cui si trova; e ognuno se ne troverà bene[…] Io amo le stelle e la luna è la mia amica segreta. Sopra di me vi è il cielo. Finché vivrò non dimenticherò mai di guardare in alto verso di lui. Io sto sulla terra: questa è la mia posizione. Le ore scherzano con me e io scherzo con loro».
L'abisso e la grazia. La grazia e l'abisso.
Robert Walser è l'acrobata “grazioso†che mantiene la scrittura come una corda tesa ma lieve sull'orlo del precipizio.