Daria si fa del male da sola. Si autopunisce
per un senso di colpa che
viene da lontano: dalla violenza infantile,
dall’educazione sentimentale, dalla
difficoltà di accettare la sua femminilità.
Questo scrigno d’amore e ombra è
racchiuso dentro la geografia, metaforica,
di un cortile in cui è implosa l’infanzia
della protagonista. La sua storia è
quella di chi crede di poter vivere senza
porsi domande e senza prima aver fatto
la pace con se stessi, spazzando via
il passato e non considerando le proprie
aspirazioni. Riuscirà Daria a vincere
la paura, il senso di colpa trovando la
consapevolezza di sé e la libertà? Più
volte Daria sembra non riuscire, in anni
fatti di mille fughe incise dentro attimi di
luce, nelle pareti strette dell’esistenza.
L’esordio letterario di Chiara Dotta non
sfugge al dolore ma lo salva, e ci salva,
con l’ironia. La sua scrittura succede.
Non conta tanto l’avvenimento ma ciò
che scatena nella coscienza. L’interesse
principale dell’autrice è cogliere, in un
piccolo tratto di vita del personaggio,
la sua essenza e la sua intera esistenza.
È un romanzo di formazione, cioè il percorso
dall’infanzia all’adolescenza di
una bambina che diventa donna e che
fino alla fine tiene il lettore avvinto a un
segreto che (forse nessuno) guarda ma
che sta al centro della vita. La nostra.