“L’Anarchico e il Diavolo fanno cabaret”, pubblicato nel 2003 in Canada e negli Stati Uniti, scritto ‘tra un soundcheck e l’altro’, è il diario on the road del rocambolesco tour europeo di Rhythm Activism, che suona in nove paesi in sette settimane. Il racconto del tour tra quotidiane disavventure, alle prese con un pubblico eterogeneo in locali occupati, centri artistici e culturali ben organizzati, turbolente taverne di pirati, è anche quello delle storie di rom, lavoratori immigrati, rifugiati, artisti di strada, poveri che lavorano, emarginati giovani e anziani. I protagonisti di queste ‘fiabe urbane sulla sottoclasse multietnica europea’ sono gli esclusi dal ‘benessere’ del neocapitalismo e della globalizzazione, vittime dell’intolleranza e del razzismo. Mentre nelle periferie crescono disoccupazione e povertà, anarchici e squatters difendono gli spazi liberi che diminuiscono nel nome della ‘sicurezza’, del ‘decoro’, della speculazione edilizia. L’auto-organizzazione delle comunità locali è consolidata e diffusa: Norman e i suoi compagni possono così contare sul sostegno dei centri della ‘rete internazionale anarchica’, equivalenti agli ‘ateneos’ gestiti dagli anarchici spagnoli prima e durante la rivoluzione del 1936–1939, messi fuori legge dai fascisti e tornati dopo la dittatura franchista. Nell’Europa dell’Est percorsa dalla band coesistono ricchezza di tradizioni e trionfo del modello consumistico statunitense: qui Nawrocki cerca, come promesso al padre, il suo zio girovago in Europa, di cui pubblica le lettere mandate al fratello al tempo dell’occupazione nazista della Polonia, dove Harry ha fatto la Resistenza.