L’amore si nutre d’immagini e soprattutto di «una conversazione instancabile indirizzata a un solo e unico essere al quale tutto ciò che si vive è dedicato.» «Questo essere può essere vivo o morto», aggiunge Quignard. Ma che succede se questo essere manca, all’improvviso? Villa Amalia ruota attorno a questo vuoto, a quest’assenza, e ne individua tutti gli effetti sulla protagonista, la musicista Ann Hidden (che in inglese vuol dire «nascosta») magnificamente cesellata, come al bulino, in tutto il suo mistero e la sua complessità, e soprattutto nella sua incompletezza.
Il romanzo si apre con una scena notturna. La quarantasettenne Ann, nascosta da un cespuglio dietro al cancello di una casa alla periferia di Parigi, vede Thomas, il suo compagno, baciare un’altra donna. In quel momento, un uomo le si avvicina. È Georges Roehlinger, un amico d'infanzia che aveva perso di vista. Da quell’istante, e nello stesso modo in cui la scena è narrata, la convenzione si spezza. Ann decide di rompere. Radicalmente. Non è soltanto una rottura amorosa; questa non è che un elemento accessorio, come la casa e i conti bancari che bisogna chiudere, i documenti e le fotografie che devono bruciare, i mobili e i pianoforti che devono sparire. In poche settimane, segretamente, senza dire nulla a nessuno, lei fa il vuoto, vende tutto, mente a tutti, parte. La fuga, non folle o confusa o disperata, ma perfettamente volontaria e ragionata, fredda, senza «commenti» né «giudizi», fuori da un presente che non ha più alcun significato, occupa la prima parte del libro.
Nella seconda, Ann si confronta con l’ipotesi e il rischio di una «ri-esistenza». Con un’apertura in apparenza totale al mondo e alla gente, cerca «un luogo al di fuori dell’enorme città umana mondiale» e pensa di averlo trovato nell’isola di Ischia, in una casa lunga e stretta, con un patio a picco sul mare: Villa Amalia. Ma non è un’altra vita che l’attende. È sempre la stessa assenza, lo stesso vuoto, sotto forme diverse, con altri desideri e altre pene. Ann, dolorosamente lucida, sa che quest’assenza nasce e si allarga dentro lei stessa: «provo tra le braccia degli uomini che mi attraggono una voluttà sempre più inconsistente.» Neppure le braccia di una donna, o la tenerezza di Georges, lui stesso omosessuale, riusciranno a colmare il vuoto con il quale deve vivere. E tuttavia, non è un fallimento. È una metamorfosi.
Ann Hidden è una donna che si de-satellizza. Abbandona tutte le cerchie - coniugale, familiare, professionale, nazionale - in cui era intrappolata: «sfronda» sistematicamente tutto ciò che le sembra diventato ingombrante, dalle relazioni umane alle sillabe «inutili» del suo nome alle fioriture delle partiture musicali. «Lei non interpretava. Reimprovvisava ciò che aveva letto, o ciò che ne aveva voluto ritenere, disornando, disarmonizzando, mendicando ansiosamente il tema perduto, ricercando l’essenza del tema, in un’armonia minima.». La metafora musicale rispecchia contemporaneamente lo stile narrativo dell’autore e il soggetto del romanzo, che si sviluppa come una composizione musicale, con i suoi temi ricorrenti - le case in riva al mare e l’acqua, in Bretagna, o nell’Yonne o nell’isola di Ischia - e con tutta la gamma degli andamenti, dall’adagio al furioso.
Da Villa Amalia nel 2009 Benoît Jacquot ha tratto un film, interpretato da Isabelle Huppert.