“Il villaggio di Fengyangshu si estendeva per venticinque chilometri, venticinque chilometri di strada di terra bruna coperta dalle orme dei tuoi antenati. Su metà delle terre si coltivava una strana pianta: il papavero da oppio...
Andai nei campi di papaveri per toccare i boccioli di quei grandi fiori, e sentii quei dannati cantare, per davvero, li sentii cantare e persi la testa. Decine di anni dopo gli sconfinati campi di papaveri erano scomparsi come in un sogno, seguendo i sentieri lungo le sponde del fiume non ne avresti più trovato traccia”.
Pubblicato per la prima volta nel 1988, La casa dell’oppio è considerato tra le espressioni più rappresentative della letteratura d’avanguardia cinese, genere letterario nato negli anni ‘80 in cui la riflessione e la sperimentazione del linguaggio rispondevano all’esigenza di superare la lingua schematica e standardizzata della comunicazione politica, che aveva saturato per decenni la letteratura e ogni aspetto della vita quotidiana cinese.
Il romanzo racconta il lento e tragico declino di una famiglia di proprietari terrieri arricchitisi con la coltivazione ed il commercio dell’oppio in un immaginario villaggio del sud della Cina, microcosmo rappresentativo di tutta la Cina rurale, dove l’indifferenza, la crudeltà, la fame, l’iniquità e gli istinti primordiali muovono gli uomini e regolano le loro relazioni.