Tre destini accomunati da una vocazione eretica hanno trovato nella città eterna il luogo iniziatico, il punto di non ritorno per esistenze segnate da luci e ombre, votate alla ricerca disperata quanto tenace della verità, prefigurazione di una morte annunciata. Roma ha significato per Caravaggio il successo e la notorietà ma nello stesso tempo l’inizio di una “vita violenta” fatta di zuffe, processi e rifiuti di opere d’arte non allineate ai dettami controriformistici: di qui la leggenda del “pittore maledetto”. La città assume una forte valenza simbolica anche per Giordano Bruno, il quale nell’isola domenicana della “Minerva” rinuncia allo status religioso, consapevole di quanta ipocrisia vi fosse nei custodi dell’ortodossia cattolica. “Roma matrigna” segna il destino del filosofo, che trascorre gli ultimi sette anni della sua travagliata peregrinatio esistenziale nelle carceri dell’Inquisizione romana. Egli ingaggia con i giudici un duello mortale, degno di una drammaturgia tragica, la cui catastrofe avrà luogo nella medesima piazza di Campo de’ Fiori che vedrà sfilare nel novembre 1975 il feretro di Pier Paolo Pasolini. Questi arriva a Roma come Caravaggio dal lontano nord, restando affascinato dal sottoproletariato delle borgate, custode ancora incontaminato della sacralità della vita. Anche per lui processi, persecuzioni e la condanna a morte decretata da un potere osceno, del quale il poeta stava squarciando, in modo simile al prodigio della luce caravaggesca, le ombre profonde.