L’Autore, facendo sue le considerazioni di Howard Zinn e avendo come riferimento la storia degli Stati Uniti vista dalla parte delle classi sociali non garantite, degli emarginati, degli esclusi, ha costruito un percorso che si sofferma su eventi e questioni che hanno un riscontro nei testi delle canzoni, raccontando “una storia che non si incentra sui governi ma sui movimenti di resistenza popolari”. Dietro l’apparenza di un paese monolitico e compatto emergerà una realtà ben diversa in cui il consenso non è sempre stato così esteso come si pensa comunemente. Il lettore troverà spunti per riflettere su una realtà ‘altra’ rispetto a quella corrente; ne deriverà un’immagine degli Stati Uniti non necessariamente positiva ma sicuramente più aderente alla realtà.
La musica popolare contiene le espressioni più istintive e più immediate della voce del popolo e in alcuni casi è l’unica a raccontare quello che la storia ufficiale ha taciuto, espressione della stessa popolazione coinvolta negli eventi trattati.
*“Preferisco raccontare la scoperta dell’America dal punto di vista degli Arawak, la Costituzione da quello degli schiavi, Andrew Jackson con lo sguardo dei Cherokee, la Guerra Civile come potevano vederla gli irlandesi di New York, la guerra con il Messico secondo i disertori di Scott, l’avvento dell’industrializzazione dalla prospettiva delle giovani operaie tessili di Lowell, la guerra ispano-americana vista da Cuba, la conquista delle Filippine con lo sguardo dei soldati neri a Luzon, l’età dorata della Ricostruzione vista dagli agricoltori del sud. Preferisco parlare della Prima Guerra Mondiale come la videro i socialisti, della Seconda con gli occhi dei pacifisti, del New Deal con quello dei neri di Harlem, dell’impero americano del dopoguerra dal punto di vista dei peones dell’America Latina, sempre nella misura limitata in cui un individuo, per quanto si sforzi, può ‘vedere’ la storia dal punto di vista degli altri.” [Howard Zinn]