Poco nota in Italia, Joy Williams è universalmente riconosciuta come una delle maestre del racconto americano accanto a scrittori come Raymond Carver, John Cheever, Grace Paley e Anne Beattie. Bret Easton Ellis la definisce la legittima erede di Flannery O’Connor. In questa antologia sono riuniti gran parte dei racconti, alcuni apparsi in precedenti raccolte, altri inediti, che l’autrice ha composto nell’arco di quasi cinquant’anni. Le sue storie, come parabole, ruotano tutte intorno a un momento di trasformazione che spesso ha luogo al di fuori della pagina scritta e di cui intravediamo soltanto un barlume: il mistero improvvisamente ribolle in superficie, per un solo istante, e poi torna a inabissarsi. Il suo mondo è pervaso di un orrore esistenziale che tuttavia trova redenzione in lampi di feroce umorismo: «La vita è grottesca e piena di crudeli e inutili distrazioni. La nostra ignoranza non ha confini, la nostra sofferenza tantomeno. Abbiamo fatto scempio di questa Terra e il nostro passaggio su di essa è amaro e affatto eroico. Eppure l’orrore può essere illuminante e apostrofare l’impossibile rendersi necessario» affermava l’autrice in un’intervista, e queste parole suonano come un credo. Apparentemente a suo agio in un contesto di realismo domestico, Williams cela un obiettivo ben più sinistro e lo sfondo su cui sceglie di far muovere l’azione – che siano i paesaggi riarsi del Sudovest, una piccola isola al largo delle coste del New England o del Massachusetts, o ancora un’auto malconcia che sfreccia sull’interstatale polverosa – non è che un pretesto per affilare l’ascia e mettere a nudo l’inadeguatezza umana dinnanzi al cambiamento e alla perdita. Leggere Joy Williams è come affacciarsi sull’orlo di un precipizio: spaventoso e illuminante.
Ogni americano porta nel cuore un suo racconto e ora anche in Italia potremo finalmente apprezzarne il genio.