“È un aloe, Kezia” disse Linda. “Non fa mai fiori?” “Sì, bambina mia” disse la madre. Chinò la testa verso Kezia e, socchiudendo gli occhi, le sorrise: “Una volta ogni cento anni”.
È dal desiderio di dar voce alla terra natale, la Nuova Zelanda, “una terra sconosciuta da far guizzare per un istante davanti agli occhi del Vecchio Mondo”, che tra il 1915 e il 1916 nasce L’aloe, che Katherine Mansfield chiamava “il mio romanzo” e dal quale avrebbe poi tratto uno dei suoi racconti più intensi, Preludio. Se l’autrice non fosse morta a 34 anni di tisi, quest’opera avrebbe dovuto svilupparsi in una narrazione composita, in cui far rivivere tutte le persone care, le case e i giardini luminosi dell’infanzia, ma anche le loro parti in ombra e le correnti segrete del desiderio. Attraverso una forma e una scrittura tersa, sobria e musicale, L’aloe si colloca tra gli esiti più alti dell’opera di Mansfield, quelli in cui il male di vivere è più dolorosamente tangibile.
traduzione e postfazione di Franca Cavagnoli