“La follia […] ci schiude una verità ultima e nascosta delle cose, forse innominabile. Il punto è riuscire a “usare” questa verità – che può balenare all’improvviso mentre siamo saliti su una torre – senza però le conseguenze distruttive della follia stessa […].” (Filippo La Porta)
3, 3, 99, 33. Quella combinazione numerica era una profezia per lui. Filippo non aveva dubbi. Il 3 marzo 1999, giorno del suo trentatreesimo compleanno, ad attenderlo ci sarebbe stata una svolta nella sua vita. Anche i Tarocchi confermavano che la sua personalità si stava trasformando, come in un processo alchemico. Aveva iniziato a scrivere un dramma teatrale su Torquato Tasso, che lo attraeva da sempre per la bellezza struggente delle sue opere, ma anche per la sua vita segnata dal disturbo bipolare. Però, proprio da quel fatidico compleanno, le sue certezze cominciarono a incrinarsi e la vita di Filippo iniziò a intrecciarsi sempre più strettamente con quella del suo Torquato. A testimoniarlo l’alternarsi di “secche e maree” e un diario con “ori e orrori”.
Vent’anni dopo, quel diario e gli Atti teatrali sul Tasso offriranno a Filippo l’occasione per riflettere su se stesso e sulle ingannevoli chimere partorite da una malattia che, per paradosso, ottenebra la mente anche per mezzo di una luce abbagliante e le cui vie si confondono non di rado con quelle del misticismo e dell’arte.