La voce scarna e plurale che dà vita a questo monologo di versi spezzati, pieni di fratture interne, è «più dicente che recitante»: è la voce di un corpo esposto nella sua assoluta nudità di fronte all’occhio del medico, dell’apparecchio diagnostico, del lettore.
Perché questo è Nodulo, l’esposizione di un corpo, di cui si disvelano in un intreccio pressoché indissolubile l’interiorità e le interiora; e tale esposizione ha luogo su una scena che presenta i tratti di una teatralità dalle tonalità quasi sacre, a ricordare che di carne e frattaglie siamo fatti, ma che quanto di più sacro abbiamo è il nostro corpo. E che la nostra vita è tutto ciò che abbiamo.
Il libro non è un’indagine sulla malattia, la quale non si può oggettivare, bensì un viaggio attraverso di essa, giacché il corpo da cui non possiamo distaccarci è consustanziale alla malattia stessa. E siccome «malattia va detta», la scrittura vi affonda come l’ago penetra nel polmone.